JEMORE

di Allegra Zanni e  Gloria Zambelli

La professione del data analyst. Cosa fa? di cosa si occupa?

Le nuove tecnologie, la connettività, i dati, la globalizzazione. Sono parole che ormai conosciamo bene e che hanno segnato un confine tra la nostra vita e quella delle passate generazione. Ma fino a che punto queste “novità” – che ormai tanto nuove non sono! – stanno rivoluzionando la nostra vita? 

 Noi di JEMORE e Modena Vivaio proviamo a scoprirlo, andando alla ricerca di quelle che sono le professioni del futuro. All’interno della nostra rubrica intervisteremo i professionisti che oggi si trovano a fare lavori nuovissimi, ma che pensiamo diventeranno sempre più importanti e popolari.

Oggi parliamo di dati: parola super popolare e forse un po’ inflazionata! Quale occasione migliore per farlo se non intervistando chi coi dati ci lavora?  Vi presentiamo Silvio Aiello, data analyst presso Crédit Agricole Italia. Prima di lasciarvi all’intervista però, cerchiamo di inquadrare in linea generale la figura del data analyst con una semplice definizione sui chi è e che cosa fa:  

 Il Data Analyst è una figura professionale che si dedica all’esplorazione, all’analisi e all’interpretazione dei dati al fine di raccogliere spunti utili a guidare i processi decisionali comunicati attraverso report e visualizzazioni specifiche. 

 Dopo aver inquadrato con una definizione molto generica questa figura professionale, vi lasciamo ora alle parole di Silvio Aiello che sicuramente ci aiuteranno a comprendere ancora più nello specifico il profilo professionale del data analyst. 

CHI È IL DATA ANALYST E DA QUANTO TEMPO RICOPRE QUESTO RUOLO? 

Credo che data analyst sia un termine-ombrello, dentro cui possano essere comprese attività e ruoli leggermente diversi. Quindi, pur avendo ricoperto un paio di ruoli differenti in questo periodo, credo di poter affermare di esser stato un data analyst durante tutto il mio percorso lavorativo fino a questo momento, cioè poco più di due anni. 

COME È ENTRATO IN CONTATTO CON IL SETTORE?  

Si trattava del lavoro che avevo intenzione di svolgere fin dall’inizio del corso di laurea magistrale. Quindi, mentre iniziavo a lavorare alla tesi, ho inviato il mio curriculum a varie aziende e dopo poco sono stato assunto. 

Qual è il percorso migliore per chi vuole svolgere questo mestiere?  

Probabilmente una laurea ad indirizzo tecnico o scientifico – ingegneria, matematica, fisica, statistica, informatica. Io, ad esempio, sono laureato in Fisica dei sistemi complessi.  Ad ogni modo, rispetto a pochissimi anni fa, esistono molti corsi di laurea che preparano a questo lavoro senza prenderlo troppo alla lontana.  Deve essere chiaro, comunque, che per poter analizzare dei dati non basta possedere capacità quantitative e informatiche, ma occorre conoscere la natura dei fenomeni che generano i dati. Non è raro trovare bravissimi Data Analyst che hanno intrapreso studi diversi e sviluppato le competenze più quantitative e tecniche in parallelo o  successivamente al percorso universitario. 

Quali ritiene che siano gli strumenti fondamentali nella “cassetta degli attrezzi” del data analyst?  

Sulla base della mia breve esperienza, direi un buon intuito, un’organizzazione metodica e la capacità di capire e comunicare con i propri interlocutori l’oggetto dell’analisi.   

Com’è percepito questo lavoro dalle aziende italiane o dal pubblico? È un ruolo di cui viene riconosciuta l’importanza o c’è ancora della strada da fare in questo senso? Per sua esperienza, all’estero è diverso? 

I benefici apportati dalla “sistematizzazione” della data analysis sono evidenti alla maggior parte delle aziende e del pubblico. Certo, come tutto ciò che è nuovo e in continua evoluzione, capita spesso che si riscontrino un po’ di difficoltà nel far comprendere ai non addetti ai lavori sia le potenzialità ma anche i limiti. A volte viene sopravvalutato, come se un data analyst avesse la bacchetta magica e potesse prevedere con certezza il futuro; altre volte è sottovalutato, come se fosse impossibile aggiungere davvero conoscenza rispetto alle metodologie già consolidate. Questo vale soprattutto in aziende che esistono da molti anni, per le quali l’informatica non è direttamente coinvolta nel core business e in cui l’età media è molto alta. Personalmente, credo che in questo senso si potrebbe fare di più a livello di narrazione dei fatti, sia da parte dei media che delle aziende.

       

Come si inserisce un data analyst all’interno di un team di lavoro? È un mestiere che si svolge in “solitario” o prevedere una buona dose di collaborazione?  

La collaborazione è fondamentale, sia con altri data analyst che con le figure che si occupano degli altri step del ciclo di vita del dato (generalmente, chi fa questo lavoro è inserito in contesti multidisciplinari). I margini per dare un’impronta personale sono comunque molti: penso all’efficienza, alla capacità di trovare soluzioni innovative e originali, all’introduzione di nuovi modelli di analisi, e così via.

Secondo lei, quali possono essere gli aspetti positivi e negativi di questo ruolo?  

Gli aspetti positivi sono molti: è un mestiere ad alto valore aggiunto, che permette di dare un contributo rilevante alla crescita dell’azienda per cui si lavora, e di conseguenza questa figura professionale è molto ricercata; trattandosi di un settore in continua evoluzione, si è incentivati a rimanere vigili sulle ultime novità e quindi a cercare di aggiornarsi costantemente; ci sono molte opportunità di estendere le proprie competenze anche in direzione orizzontale, grazie alla già menzionata multidisciplinarità; credo sia giusto sottolineare anche che si tratta di un lavoro che generalmente può svolgersi da remoto. Possibili aspetti negativi riguardano la possibilità di ritrovarsi in un contesto in cui l’importanza di un data analyst non è riconosciuta o compresa, o in cui si lavora con metodologie antiquate. 

Quali prospettive può avere questa figura? Come si evolverà in futuro?  

Dal mio personale contesto lavorativo colgo almeno due direttrici di possibili sviluppi futuri, tra loro collegate: una sempre maggiore importanza di machine learning e deep learning nell’analisi dei dati (sottolineando che si tratta di strumenti al servizio del data analyst, non in sua sostituzione) e una maggiore attenzione alla “struttura” dei dati e ai processi con cui vengono raccolti, conservati e utilizzati. In entrambi i casi, la pressione evolutiva è esercitata da un fenomeno ormai noto a tutti, cioè la crescita dei dati disponibili, in quantità e complessità: quello dei Big Data. 

Quale consiglio si sente di dare a chi vuole seguire lo stesso percorso lavorativo?  

Per citare un fisico un po’ più famoso di me, il consiglio che posso dare è di non smettere mai di farsi delle domande, di chiedersi come funzionino le cose e come si possa farle funzionare meglio., e di cercare Per trovare le risposte a queste domande occorre sia affidarsindosi alla propria intuizione, sia continuarendo ad aggiornarsi e ad informarsi. 

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Conclusioni 

Il profilo del data analyst, come detto anche da Silvio Aiello poco fa, è sicuramente uno dei profili che nei prossimi anni sarà sempre più ricercato dalle aziende. Questo perché per un’impresa, grande o piccola che sia, poter disporre di professionisti che sanno come approcciarsi ai dati, proponendo soluzioni innovative o semplici soluzioni a problemi di grandezza minore, giocherà sempre di più un ruolo cruciale per il successo delle aziende. 

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A cura di Redazione

Grafiche: Allegra Zanni
Revisione: Omar Hammami